Ci sono stagioni che si raccontano da sole. Ma ce ne sono altre che vanno vissute da dentro, un passo alla volta, come un processo di trasformazione.
È il caso della VBC Casalmaggiore, storica società della pallavolo femminile italiana, che ha affrontato una stagione di A2 con una squadra costruita in cinque giorni, atlete giovanissime e tante incognite.
Un percorso iniziato con coraggio, accompagnato fin dal ritiro dal progetto di mental coaching che abbiamo strutturato per loro.
Ed è così che, da una situazione iniziale che per molti avrebbe fatto presagire una retrocessione certa, è nata una salvezza che oggi possiamo raccontare come un’impresa collettiva.
Il contesto iniziale
Il progetto prende forma prima ancora dell’inizio del campionato. Durante il ritiro estivo, il presidente Giovanni Ghini decide di inserire sin da subito l’intervento di mental coaching de Il Passo Successivo all’interno dello staff.
Una scelta controcorrente per il panorama sportivo italiano, dove spesso si cerca il supporto psicologico o motivazionale solo nei momenti critici.
Qui, invece, il mental coaching entra come parte integrante del progetto tecnico e umano.

La squadra nasce in pochissimi giorni: molti innesti sono arrivati last minute, il gruppo è giovane (ben 5 atlete su 12 andavano ancora a scuola) e la gestione della comunicazione interna si presenta subito come una delle principali sfide. In campo, la fatica si percepisce anche nel corpo: il carico emotivo è alto, la tenuta mentale ancora fragile.
Il compito affidato al nostro team di Mental Coach, gestito da Antonio Caporaso a e Claudio Valigi, è stato quello di costruire un ponte tra le diversità, aiutare ogni atleta a trovare il proprio centro e portare consapevolezza nei gesti, nelle parole, nelle scelte.
Gli obiettivi
L’obiettivo dichiarato all’inizio è stato, nella versione più ottimistica, quello di lottare per i play-off.
Ma realisticamente, si puntava alla salvezza. Non solo in classifica, ma nella qualità del gruppo, nella capacità di ciascuna atleta di lavorare su sé stessa, riconoscere le proprie interferenze mentali e creare connessioni significative con le compagne.
Il lavoro richiesto al team è duplice:
- One-to-one: sessioni individuali in presenza o in videochiamata, in base ai bisogni specifici.
- Sessioni di gruppo: incontri settimanali fissi, due giorni prima della partita, per preparare mentalmente il campo e rinforzare la coesione.
Le difficoltà incontrate
Il gruppo faticava ad integrarsi nella prima metà della stagione. Due sottogruppi netti, poca capacità di confronto autentico, tendenza all’alibi (individuale e collettivo), e un’energia dispersa nel gestire tensioni non espresse.
Molte atlete non avevano mai lavorato su di sé.
Per alcune, il solo concetto di “mental training” era estraneo. Altre avevano un approccio più difensivo, come a dire: “Piuttosto che mostrarmi fragile, mi chiudo e vado avanti da sola.”
Questo ha reso il lavoro iniziale più delicato: ogni parola, ogni proposta, doveva passare attraverso un rispetto profondo per il vissuto emotivo delle atlete. Nulla poteva essere imposto, ma tutto doveva essere costruito con autenticità.
L’intervento
Il cuore del progetto è stato la relazione. Non solo quella tra mental coach e atlete, ma anche con l’allenatore e con tutto lo staff.
Dopo un cambio in panchina, arriva Claudio Cuello: allenatore argentino, istrionico, carismatico, dalla visione ampia. Con lui si instaura subito una collaborazione piena. Le sessioni diventano uno spazio co-progettato, dove tecnica e mente si parlano.
Tra le pratiche proposte:
- Tecniche di respirazione per attivare o rilassare;
- Visualizzazioni mirate (per migliorare la percezione di sé o gestire lo stress);
- Esercizi di consapevolezza del linguaggio verbale e non verbale;
- Allenamento all’auto-valutazione e riduzione degli alibi;
- Incontri trasformativi sull’importanza del gruppo.

Uno dei momenti più forti è stato un incontro in cui le atlete sono state messe di fronte alle proprie responsabilità comunicative. Un passaggio netto, quasi “rituale”: il prima e il dopo non erano più la stessa cosa. Da lì, la squadra ha iniziato a riunirsi, rispecchiarsi, giocare insieme.
I risultati
Nel girone iniziale, la squadra conquista 16 punti in 18 partite. Ma è nel pool salvezza che avviene la svolta: 21 punti in 10 partite, con una crescita evidente non solo nei risultati ma nella tenuta mentale.
La squadra inizia a crederci, a parlarsi in modo diverso, a sostenersi. Si alza il tono della voce nei time-out, si abbassa l’ansia in campo.
Cambiano le espressioni del corpo. Cambiano i ritorni dai time-out. Cambia la gestione dei momenti difficili. Le ragazze non crollano più, ma si agganciano, si rialzano, recuperano, e spesso superano l’avversario.
Il gruppo si trasforma in una sola entità, fatta di tante differenze che si mettono una a disposizione dell’altra.
La salvezza arriva con pieno merito, con presenza e forza fino all’ultimo secondo, perché aritmeticamente confermata solo all’ultima giornata.

Il valore del progetto
Al di là del risultato sportivo, il valore di questa esperienza sta nella sua unicità: una squadra professionistica di A2 che inserisce due mental coach fissi nello staff sin dal primo giorno di ritiro.
Che organizza sessioni settimanali strutturate.
Che propone elementi teorici, pratiche interiori e strumenti di tradizione antica al servizio della performance.
Una squadra che non ha solo giocato per salvarsi, ma ha imparato a costruire una mentalità diversa, solida, centrata. Dove il “come” ha fatto la differenza più del “quanto”.
Un allenatore che non ha mai voluto mettere mano agli incontri, ma li ha arricchiti con la sua visione.
Uno staff che ha sostenuto, anche in corsa, un progetto umano prima ancora che tecnico.
Conclusione
Questa case history non è solo il racconto di una salvezza sportiva. È la testimonianza di quanto possa accadere quando l’essere umano incontra altri esseri umani in modo autentico, e insieme decide di costruire. Un passo alla volta, un gesto alla volta, un granello alla volta.
Il talento non basta. Serve la volontà di manifestarlo.
E serve qualcuno che sappia riconoscerlo anche quando si nasconde dietro la paura, il silenzio o la fragilità.